Per “Endoscopia Spinale (o Vertebrale o della Colonna) si intende l’utilizzo di un sistema di telecamera e strumenti miniaturizzati, introdotti con un piccolo accesso (incisione) di pochi millimetri ed utilizzati per eseguire manovre chirurgiche sulla colonna vertebrale.
L’endoscopia (dal greco ἔνδον èndon, “dentro, interno” e σϰοπή skopê, “osservazione”) è un metodo di esplorazione dal punto di vista medico che permette di visualizzare l’interno del corpo.
Negli anni i progressi delle tecniche mininvasive si sono avuti grazie all’innovazione tecnologica dei sistemi di visualizzazione e alla scoperta di spazi fisiologici necessari per l’accesso. I primi studi ed i primi tentativi di concetto di “endoscopia spinale” risalgono al 1931, quando il Dr. Burman iniziò i primi esperimenti di visualizzazione diretta del midollo spinale. Gli sviluppi e l’innovazione dell’endoscopia spinale rimasero stazionari fino a quando il Dr. Parviz Kambin riuscì a trovare il forame come canale di via di accesso naturale per poter aggredire le ernie discali per via endoscopica.
A seguito di lunghi studi e prove effettuate su pezzi anatomici il Dr. Parviz Kambin riuscì ad evidenziare un’area di lavoro, di forma triangolare, all’interno del forame intervertebrale attraverso la quale è possibile accedere in totale sicurezza al canale spinale; tutt’oggi viene utilizzata, negli interventi di endoscopia spinale, nella massima sicurezza come via d’accesso; Detta zona viene chiamata il “triangolo di Kambin”.
Questa importante evoluzione nel corso degli anni ha notevolmente aumentato l’applicazione e le indicazioni per la chirurgia della colonna vertebrale mininvasiva. Il miglioramento della competenza dei chirurghi e la costante evoluzione di tecniche e tecnologie, hanno consentito un allargamento delle indicazioni ed un miglioramento della sicurezza operativa.
Nella chirurgia endoscopica è proprio l’endoscopio “l’occhio del chirurgo” e il suo sviluppo tecnologico, assicura oggi agli operatori, una visualizzazione ad alta definizione per una perfezione nella visione; il principale obiettivo dell’innovazione è lo sviluppo di una tecnologia di immagini ad altissima risoluzione, poiché una perfetta visione è la base per la sicurezza dei pazienti che subiscono interventi chirurgici endoscopici.
Nel contempo lo strumentario chirurgico e i dispositivi utilizzati si sono evoluti sia nell’affidabilità che nella produzione mettendo a disposizione dei chirurghi dilatatori, frese, pinze, trapani, e Kerrison per affrontare qualsiasi tipologia di ernia da trattare.
Il più avanzato e diffuso sistema per il trattamento endoscopico percutaneo dell’ernia del disco lombare è quello che prevede l’accesso alla colonna attraverso il forame, ovvero l’apertura fisiologica tra una vertebra e l’altra e dal quale fuoriescono le radici nervose: “il sistema transforaminale”.
Molto utilizzato è anche lo spazio interlaminare per la rimozione delle ernie discali lombari difficilmente approcciabili con la tecnica transforaminale e per le stenosi del canale: “il sistema interlaminare”.
Per questo esame viene utilizzato un endoscopio, un particolare strumento dotato di un tubo da inserire nel paziente (guaina introduttiva) sulla cui testa sono presenti una telecamera, delle lentine luminose (fasci di luce a fibra ottica) e dei canali, all’interno della guaina introduttiva oltre ai cavi della telecamera e i fasci luminosi possono essere presenti anche dei canali, i più comuni in un colonscopio flessibile standard sono: canale operatore (o canale bioptico) utilizzato per aspirazione e al cui interno possono scorrere gli strumenti utilizzati per le piccole operazioni o prelievi, canali a/w (air: aria per insufflazione e dilatazione permettendo allo strumento di avanzare, water: acqua per il lavaggio della lente telecamera), canale di lavaggio mirato (per lavare un’area esposta alla visione), la testa di uno strumento flessibile si può orientare, in base al tipo di strumento, in quasi tutte le posizioni (Up-Down-Left-Right per i gastroscopi, colonscopi, duodenoscopi, enteroscopi e Up-Down per i broncoscopi) dall’utilizzatore, alcuni endoscopi, più comunemente i gastroscopi, possono orientare la testa di 210 gradi (retroversione).
Oggi per la risoluzione chirurgica dell’ernia del disco è possibile ricorrere all’endoscopia spinale, piuttosto che alle tecniche chirurgiche tradizionali, Malgrado molti chirurghi ritengano che l’utilizzo del microscopio dia una bassa invasività nell’intervento, questa tecnica prevede la dissezione di muscoli ed ossa per accedere all’ ernia del disco da trattare.
La tecnica endoscopica assicura, al contrario, che le strutture anatomiche articolari, muscolari e legamentose della colonna vertebrale non vengano alterate durante l’intervento chirurgico. L’endoscopia spinale è una disciplina in costante perfezionamento e progresso, ed offre grandi vantaggi nel limitare l’impatto del paziente sull’intervento chirurgico e un recupero molto celere post-operatorio. Ernie discali, stenosi laterali e artrosi vertebrali sono tra le patologie che possono essere trattate con questo tipo di tecnica. Anche la letteratura medica conferma che gli interventi in endoscopia vertebrale sono più confortevoli e tollerati per i pazienti, con un tasso di complicazione bassissimo, una notevole riduzione di recidive, dei rischi rispetto ad un intervento classico “open”, e la formazione di tessuti cicatriziali post-intervento, principale causa d’insuccesso della chirurgia tradizionale.
La metodica originariamente è nata negli anni ’90, con l’affermarsi della consapevolezza che il futuro della chirurgia ortopedica risieda nella riduzione dell’invasività, ovvero minori complicanze e applicabilità anche in età avanzata delle tecniche (con una popolazione che invecchia sempre di più). Una delle prime “rivoluzioni” di approccio mini-invasivo è stata l’artroscopia di ginocchio, un sistema di telecamere utilizzato nel ginocchio per rimuovere solo la parte lesionata del menisco, al posto di un intervento molto distruttivo utilizzato in precedenza (la meniscectomia totale in artrotomia). Questa “rivoluzione” è diventata popolarissima anche per i primi resoconti giornalistici di guarigione di famosi calciatori, nei quali la lesione del menisco rappresentava per lo più la fine della carriera prima dell’avvento dell’artroscopia.
L’Endoscopia della Colonna presenta delle analogie con le metodiche artroscopiche, ma va ad affrontare un problema più cogente ancora in medicina, dal momento che:
– la patologia della colonna ha una diffusione estrema, basti pensare che riguarda quasi il 40% delle persone considerato l’arco intero della vita
– la terapia chirurgica disponibile fino ad oggi è gravata da complicanze importanti, soprattutto da un severo tasso di recidiva (“failed back surgery”, il male torna per la compressione delle cicatrici sui tessuti nervosi) ed è molto impegnativa fisicamente.
Principio fondamentale nella tecnica endoscopica vertebrale è rappresentato sinteticamente dal fatto che questa è una procedura di decompressione delle strutture nervose, “mirata” sul bersaglio preciso. A differenza dagli approcci endoscopici in uso in chirurgia generale e ortopedia, nell’endoscopia vertebrale la procedura si svolge attraverso una sola cannula che costituisce contemporaneamente fonte di luce, di irrigazione e canale di lavoro. E’ quindi facile comprendere come lo strumentario debba cadere precisamente sul bersaglio da rimuovere, per decomprimere le strutture nervose, non essendoci la possibilità di manovre correttive.
A seconda del punto dove il frammento discale viene espulso rispetto alle strutture nervose vicine (radici, sacco durale), vi sono due distinte tecniche: l’approccio transforaminale per le ernie intra ed extraforaminali (compressione su radice e ganglio radicolare) e l’approccio interlaminare per le ernie pre-foraminali paramediane (compressione sull’emergenza radicolare e sacco durale).
In entrambi i casi il target chirurgico è raggiunto sotto guida radiologica, che identificando precisi reperi radiologici, aiuta ad indirizzare lo strumentario nella corretta posizione.
DESCRIZIONE DELLA TECNICA
L’anestesia utilizzata per l’intervento è in genere una anestesia locale. Si ricorre all’anestesia generale in pazienti particolari o qualora se ne faccia esplicita richiesta.
Gli approcci endoscopici variano in base al tipo di ernia del disco. Un’ approccio posterolateraleè indicato per asportare ernie contenute e protrusioni discali, quello interlaminare paramediano per asportare ernie espulse e/o voluminose in genere a livello L5/S1; infine l’approccio laterale transforaminale è utile nell’asportazione di ernie espulse e migrate. Qualunque sia l’approccio impiegato, il livello di invasività della procedura rimane tuttavia invariato per il paziente.
La procedura consiste nell’ introduzione percutanea di una cannula (camicia esterna) dell’endoscopio dal diametro di 0,7 cm sotto controllo radiologico intraoperatorio fino al raggiungimento del livello della colonna colpito dell’ernia. Dopo aver posizionato la cannula si introduce l’endoscopio rigido e si inizia l’asportazione del materiale discale con lavaggio continuo e sotto visione endoscopica diretta. Il controllo radiologico prima e la visione diretta poi, consentono la massima sicurezza e il rispetto delle radici nervose e del sacco durale. L’endoscopio è fornito di una cannula di lavoro che permette l’utilizzo di micropinze, forbici, sonde a radiofrequenze e laser. L’obiettivo dell’intervento è liberare la radice nervosa ed il sacco durale dalla compressione esercitata dal materiale erniario e quindi far scomparire il dolore. Al termine della procedura viene semplicemente estratta la cannula e la cicatrice che rimane è minore di 1 cm, viene suturata con un singolo punto di sutura riassorbibile. L’intervento ha una durata variabile tra 25 e 45 minuti.
La degenza postoperatoria è estremamente contenuta e mai superiore alle 24h salvo complicanze. Questa procedura può esser eseguita in regime day-surgery. Il ritorno alla vita lavorativa avviene in genere 7 giorni dopo l’intervento anche se questo intervallo può variare in ragione dei sintomi pre-operatori e del tipo di ernia trattata. È raccomandato, ma non obbligatorio, l’utilizzo di un busto leggero (stoffa e stecche o a pressione) per una settimana dopo l’intervento.
Il trattamento dell’ernia del disco con approccio endoscopico consente di ottenere risultati paragonabili alla chirurgia a cielo aperto, ma con una procedura minimamente invasiva in termini di approccio chirurgico (cicatrice <1cm), dolore postoperatorio e tempi di recupero.
VANTAGGI:
-Nessuna anestesia generale (sedazione + anestesia locale)
-Accesso mininvasivo percutaneo: taglio di 0,7 cm senza danneggiamento di tessuti muscolari,
legamenti, osso
-Riduzione del rischio di sanguinamento, di infezioni e danni nervosi
-Stabilità della colonna e assenza di cicatrici nel canale midollare
-Riduzione della frequenza di una sindrome “post-discectomia”
-Riduzione del dolore postoperatorio ( per la bassissima invasività)
-Il paziente può alzarsi immediatamente dopo l‘intervento
-Degenza ospedaliera ridotta: il paziente viene dimesso il giorno stesso
-L‘intervento potrebbe essere eseguito anche in regime ambulatoriale
-Riduzione dei tempi di riabilitazione e rapido rientro alla vita quotidiana e professionale.
-La maggior parte dei pazienti ritorna alle proprie occupazioni quotidiane dopo 4-5 giorni dall‘intervento.
Oggi ernie discali, stenosi laterali e artrosi vertebrali sono tra le patologie che possono essere trattate con questo tipo di tecnica, chiamata anche ernia endoscopica. Anche la letteratura medica conferma che gli interventi in endoscopia vertebrale sono più confortevoli e tollerati per i pazienti, con un tasso di complicazione bassissimo, una notevole riduzione di recidive e di rischi rispetto ad un intervento classico “open”. Si evitano, anche, la formazione di tessuti cicatriziali post-intervento, principale causa d’insuccesso della chirurgia tradizionale